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Si è tenuta il 2 aprile, la Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo. E’ stata istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale dell’ONU e, come ogni anno da allora, ha il merito di richiamare l’attenzione di tutti i diritti delle persone con disturbi dello spettro autistico e delle situazioni che devono affrontare le loro famiglie che, troppo spesso, si ritrovano sole con un grande carico di preoccupazioni e problemi pratici. Criticità che non dovrebbero essere ignorate nella vita quotidiana da tutta la società.

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Arriva in Italia la traduzione del manuale di ‘Analisi del comportamento applicata’, un volume ritenuto pietra miliare per gli studiosi della metodologia ABA nel campo dell’autismo. E, in qualche modo, questo best-seller parla tarantino, dal momento che la versione italiana è distribuita da ABC Centro ABA.  La traduzione è a cura di Simon Izzo e Jessica Dean, mentre la revisione è a cura di Federica Doria. Tre professionisti, tutti particolarmente legati al territorio ionico. In particolare Izzo e Dean, rispettivamente presidente e direttrice clinica del Centro, lavorano in tutto il mondo, ma fanno base a Taranto.

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La comunicazione
Se riusciamo ad instaurare questo tipo di relazione ci accorgeremo molto presto del loro grande desiderio di comunicare.

Anche in questo caso però, abbiamo il dovere di accettare in modo pieno ed incondizionato il loro modo di comunicare senza mai imporre il nostro.

Ciò non è così semplice come sembra. Anzi è talmente difficile che spesso siamo disposti ad applicare tutti i tipi di terapie nei loro confronti: logoterapia, ippoterapia, psicomotricità, delfino terapia, terapia occupazionale, terapia del comportamento, ecc.. ma non siamo disponibili ad attuare un dialogo che tenga conto dei loro desideri, dei loro bisogni e delle loro esigenze.

Questo tipo di dialogo è difficile in quanto in ogni adulto che si confronta con un bambino, specialmente se questo adulto ha il ruolo di insegnante, tende a prevalere in modo deciso l’atteggiamento educativo.

Quest’atteggiamento è tanto più eclatante nel rapporto con un bambino affetto da disturbo autistico.

Se le sue parole o i suoi gesti inconsulti, inusuali e stereotipati ci mettono in imbarazzo ed in difficoltà davanti agli altri, cosa fare se non pregarlo di non comportarsi in questo modo, oppure minacciarlo, punirlo o bloccarlo, affinché smetta, una buona volta, di dire cose inutili o desista nel compiere quei gesti sempre uguali che ci esasperano e umiliano come genitori e come operatori?

Se egli non ci guarda direttamente negli occhi.
Questo suo atteggiamento ci umilia, ci confonde, ce lo fa sentire lontano, per cui cercheremo di fare la cosa che ci sembra più giusta e corretta che può essere quella di stimolarlo in ogni modo a guardarci, interpellandolo o mettendoci davanti a lui. Se non accetta il contatto con il nostro corpo e non si fa abbracciare o, peggio, non vuole che sia toccata la sua mano, come dimostragli il nostro amore se non stringendolo di più a noi?

Se non parla, cosa fare se non insegnargli a parlare?

Come accettare poi che egli si faccia volontariamente del male?
Che sbatta la testa nel muro? Che si dia pugni nel viso o nel corpo? Che si laceri la pelle con le unghie? Che si morda le dita? Che sbatta i giocattoli o le bambole al muro? In tutti questi casi è istintivo e ci sembra anche logico e consequenziale rimproverarlo o fargli capire in maniera a volte delicata, altre volte, quando siamo esasperati, in maniera brusca, che “questi gesti non si fanno, che non è bello, che non è giusto, che i bambini buoni ed educati non fanno queste cose”. Ci sembrerà, pertanto, spontaneo ma anche logico intervenire, anche fisicamente, per togliere le mani dal suo viso o dalle braccia per evitare che si graffi: Ci sembrerà logico e naturale allontanarlo dalla parete su cui sbatte il capo o strappargli dalle mani la povera bambola che sta picchiando e sbattendo al muro senza apparente motivo.

Se parla, ma ripete in modo sgrammaticato le frasi che ha sentito dalla mamma o da altri adulti come trattenersi dal correggerlo e dal cercare di fargli pronunziare le frasi in modo corretto?

E se ride quando non dovrebbe, in modo incongruo, sgangherato e senza alcun costrutto, come non cercare di correggerlo perché manifesti la sua allegria nei modi e nei tempi opportuni?

Per non parlare delle attività didattiche.
Se ha tre - quattro anni il nostro dovere ed impegno didattico ci porterà a cercare di fargli effettuare tutte le attività che possono preparare le sue mani e la sua mente al grafismo, alla lettura, al numero, al calcolo, alle relazioni spazio-temporali e così via. Se ha compiuto cinque – sei anni ci sentiremo impegnati e responsabilizzati affinché apprenda la tecnica della lettura, della scrittura, individui e utilizzi i numeri e le quantità e, se possibile, conosca alcuni degli argomenti studiati nella sua classe di appartenenza.  

Purtroppo, tutti questi comportamenti che ci sembrano logici, spontanei e naturali non sono utili a questi bambini, anzi peggiorano il loro mondo interiore e quindi fissano ancor di più o accentuano i loro disturbi.

Dobbiamo riuscire a comportarci in modo diverso, molto diverso da come di solito facciamo e da come istintivamente vorremmo operare.

Possiamo riuscire in questo se pensiamo a questi come a dei bambini costretti a vivere giorno per giorno una grande sofferenza. Questa sofferenza li stimola a difendere il proprio Io dall’angoscia che potrebbe sommergerli, utilizzando strumenti primitivi di difesa, come possono essere la chiusura nei confronti del mondo esterno o l’uso di stereotipie. Per tali motivi non dobbiamo assolutamente essere noi a proporre il modo giusto di comunicare ma devono essere loro a scegliere di volta in volta i momenti e le forme più opportune di dialogo. Perché solo loro sanno quello che in quel momento si agita nel proprio animo e, quindi, solo loro conoscono ciò di cui hanno bisogno in un determinato momento e non noi. 

Mettiamoci in ascolto del loro animo con grande empatia in modo tale da capire immediatamente ciò che fa loro piacere e ciò che li fa soffrire. Ciò che li libera e ciò che li limita o blocca.

Rispettiamo il loro spazio psicologico e fisico. Anche questo atteggiamento e comportamento non è facile attuarlo in quanto vorremmo che questi bambini capiscano subito o comunque rapidamente che noi siamo loro amici, che gli vogliamo bene, che non abbiamo nessuna intenzione di far loro del male. Per raggiungere questo obbiettivo il modo migliore ci sembra quello di avvicinarci il più presto possibile al loro corpo, così che avvertano meglio i nostri sentimenti. Purtroppo, però, nel rapporto con questi bambini questo comportamento è errato in quanto, dall’altra parte, vi è tanta paura e tanta diffidenza. Poiché questi bambini hanno paura del mondo e degli altri esseri umani, limitiamo al minimo l’impatto che potrebbe avere sul loro animo la nostra presenza fisica, in modo tale che non l’avvertano mai e in nessun momento come invasiva. Inizialmente il posto migliore che possiamo scegliere è quello più lontano da loro, aspettando di capire quando è il caso di avvicinarci un po’ di più per collaborare al loro gioco. Ma se notiamo fastidio per questo nostro comportamento attendiamo con animo sereno, gioioso, disponibile e fiducioso che siano loro, dopo qualche minuto, qualche ora o qualche giorno a diminuire questa distanza fisica. Nel momento in cui avranno più sicurezza in sé stessi, più fiducia in noi, più stima di noi, meno paura, sicuramente lo faranno. Si avvicineranno inizialmente utilizzando dei contatti apparentemente casuali o mediati da un oggetto o da un gioco, ma poi, gradualmente, ci faranno capire il loro desiderio di un contatto fisico più prolungato e coinvolgente.

Evitiamo di porci come insegnanti. Di fronte a dei bambini che non parlano, non leggono, e, a volte, non conoscono o mostrano di non conoscere molti elementi culturali; di fronte a dei bambini che ai nostri occhi e al nostro metro di giudizio si comportano male o in modo non adeguato alle circostanze, siamo portati ad insegnare: a parlare, a comunicare, a ben comportarsi con gli altri e verso di noi.

Bisogna saper resistere a questa forte tentazione in quanto i bambini affetti da autismo non hanno nulla da imparare fino a quando non manifestano apertamente il loro desiderio di apprendere. Evitiamo allora di porci come l’insegnante di fronte all’allievo. Anche se siamo insegnanti; anche se loro sono nostri allievi; anche se sono stati inseriti a scuola per imparare; anche se la scuola è il luogo in cui si insegna ed in cui si apprende. L’imparare è l’ultima delle loro necessità e l’ultimo dei loro bisogni. Mostriamoci invece noi desiderosi di apprendere.

Dobbiamo essere noi ad imparare ad amare il silenzio, in quanto questi bambini più di ogni cosa, cercano un ambiente silenzioso, tranquillo e sereno. Non c’è nulla che dia loro più fastidio del continuo vociare, mentre, al contrario, il silenzio li quieta.

Dobbiamo noi imparare a non muoverci e agitarci troppo, in quanto i nostri movimenti, specie se bruschi, li disturbano e li spaventano.

Dobbiamo noi imparare a restare alla giusta distanza da loro e a partecipare con gioia ai loro giochi. Se siamo disposti a fare tutto questo. Se siamo disposti a stare zitti. Se siamo disposti a non programmare per loro nessuna attività e nessun gioco allora, dopo qualche settimana o, al massimo, dopo qualche mese, ci accorgeremo con immensa gioia che qualcosa di molto importante è cambiato nel mondo interiore di questi bambini. Dal viso più disteso scopriremo che il loro animo è, ora, più sereno. Dall’aumento dei momenti nei quali riusciamo ad essere in comunione con loro, dal maggiore attaccamento nei nostri confronti, ci accorgeremo che il muro che avevano creato per difendersi dagli altri si sta sgretolando gradualmente, mentre sempre più spesso e per un tempo maggiore, sono disposti a lasciare appesa al muro la corazza che li proteggeva dal “mondo cattivo”.  Dopo qualche giorno o al massimo dopo qualche mese, noteremo che riescono più facilmente e per un tempo più lungo ad abbandonare le stereotipie, le ecolalie, le eco prassie, l’auto ed etero – aggressività. Ci accorgeremo, in definitiva, che la maggiore serenità interiore acquisita permette loro di ricominciare un graduale cammino di maturazione psicoaffettiva, mentre, insieme all’aumento della loro fiducia in noi, è anche aumentata la fiducia negli altri e nel mondo. Solo allora noteremo la loro disponibilità ad accettare delle piccole variazione ai loro giochi o addirittura ci accorgeremo che sono disponibili ad accogliere un gioco da noi proposto e a loro congeniale. Alla domanda che spesso ci viene fatta se vi devono essere dei limiti alle espressioni del gioco libero autogestito, la risposta che diamo sempre è che il solo limite che noi vediamo è quando il loro gioco o la loro attività comporta un reale, importante pericolo per sé e per gli altri.

Rispettiamo i loro tempi. I bambini affetti da autismo sono diversi l’uno dall’altro per composizione genetica, per i vissuti traumatici trascorsi, per il tipo di difese che hanno messo in atto, per il loro retroterra familiare, per la maggiore o minore gravità dei problemi psicoaffettivi presenti nel loro animo. Non possiamo allora immaginare dei tempi che siano uguali per tutti. A ognuno di loro dobbiamo permettere di seguire una propria strada. Senza mai forzare. Senza mai avere fretta di arrivare ad una meta da noi prefissata e programmata. Anche in questo caso essi hanno bisogno del nostro rispetto più che della nostra sapienza.

Cerchiamo di modificare il loro ambiente di vita. Se l’insegnante riesce ad avere con questi bambini una relazione efficace come quella che abbiamo descritto si noteranno, come abbiamo detto sopra, in un periodo abbastanza breve, dei progressivi miglioramenti che però possono essere molto più importanti e rapidi se riusciremo anche a modificare qualche componente patogena dell’ambiente in cui questi bambini vivono.

Per fare ciò dobbiamo analizzare e poi cambiare in meglio tutti i comportamenti e le situazioni che possono essere nocivi al loro sviluppo psicoaffettivo, sia che questi elementi ambientali patogeni si trovino nella sua famiglia, sia che siano attivi nella scuola o nei vari ambienti da loro frequentati.

Nella loro famiglia possono costituire un grave elemento disturbante il conflitto genitoriale, gli eventuali disturbi psicologici dei genitori o familiari con i quali si trovano più in contatto, allo stesso modo può essere scarso o non adeguato ai loro bisogni il tempo trascorso con i genitori. Possiamo scoprire e modificare in modo positivo i ritmi frenetici a cui questi bambini sono forse sottoposti durante il giorno nell’effettuare le mille terapie proposte dai vari specialisti. Possiamo cercare di cambiare in meglio una gestione di questi bambini troppo oppressiva, se non traumatica a causa di continui rimproveri e frustrazioni. Possiamo, inoltre, cercare di diminuire un loro uso eccessivo della TV e dei video giochi così da lasciare più spazio al gioco libero e spontaneo.

Il Cantone sarebbe dovuto essere da esempio, eppure è scivolato nel migliore dei modi. Lascia tristezza la vicenda di un uomo afflitto da disturbo autistico: ha 42 anni e da 22 lavorava alla Isole di Brissago. A dicembre, a seguito di una serie di problemi, lascia il lavoro, però il suo è come se fosse un licenziamento. A tio.ch, che ha raccontato la sua storia, parla di nostalgia delle sue Isole. Per la famiglia, quello che ha subito è quasi mobbing.

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La gestione di un bambino affetto da disturbo della sfera autistica in ambito scolastico, se paragonata alla gestione degli altri handicap, è forse la più complessa e difficile.

Da una parte possiamo avere un bambino che vive in maniera lacerante un’intensa sofferenza interiore fatta di paure, ansie, insicurezze, tensione, irrequietezza, confusione.

Un bambino che spesso nei casi più gravi non parla o peggio grida e ride scompostamente.

Un bambino che non comunica o comunica male e non si integra con gli altri coetanei nei giochi e nelle attività che vengono di volta in volta proposti nella classe e a scuola.

Un bambino che spesso attua dei comportamenti disturbanti, se non chiaramente sconcertanti in quanto si innervosisce per un nonnulla, per ore gioca allo stesso gioco e con gli stessi oggetti, saltella da una parte all’altra della classe, si fa del male o aggredisce gli altri bambini, ride senza costrutto.

Un bambino estremamente sensibile a ogni stimolo eccessivo, che si spaventa facilmente quando nel suo ambiente sono presenti rumori, confusione e grida. Un bambino che ha una enorme sfiducia negli altri. Sfiducia che lo porta ad avere notevoli difficoltà nella comunicazione e nell’interazione sia con gli adulti sia, soprattutto, con i coetanei dai quali, tra l’altro, si sente poco accettato a causa del suo comportamento “strano” ed imprevedibile.

Un bambino emotivamente molto fragile anche di fronte alle minime frustrazioni per cui non accetta di sbagliare, non sopporta di essere rimproverato o ripreso, mentre i cambiamenti facilmente scatenano o accentuano le sue paure ed ansie.

Dall’altra abbiamo un’istituzione, la scuola che ha determinate regole indispensabili per il suo buon funzionamento. Vi è un’istituzione che ha dei bisogni imprescindibili di ordine e disciplina, che si pone dei precisi obbiettivi, che usa strumenti pedagogici tarati soprattutto per una fascia di bambini “normali”.

Una scuola che ha delle richieste esplicite nei suoi confronti:
Amerebbe che egli restasse nella sua classe con gli altri bambini allo scopo di facilitare la socializzazione, ma l’ambiente classe con troppi bambini, con troppi rumori con eccessive sollecitazioni, accentua la sua tensione interiore;

Desidererebbe che lui avesse fiducia negli insegnanti, ma sappiamo che questi bambini hanno scarsa fiducia in ogni essere umano e, soprattutto, hanno timore delle persone non familiari;

Vorrebbe che lui apprendesse, mentre spesso questi bambini hanno gravi difficoltà ad apprendere;

Aspirerebbe a che lui dialogasse e socializzasse con i coetanei, mentre sappiamo che per le sue note difficoltà relazionali gli altri bambini gli creano ansia e tensione;

Vorrebbe che egli potesse accettare le norme e regole della classe e della scuola, ma ogni norma e regola viene vissuta da questi bambini come un’imposizione e una violenza.

Pertanto, se la scuola vuole essere di vero aiuto ai bambini affetti da disturbi della sfera autistica deve necessariamente proporsi obbiettivi diversi da quelli soliti, deve necessariamente attuare delle modalità di gestione alternative a quelle che solitamente attua.

Gli obiettivi
Per quanto riguarda gli obiettivi al primo posto la scuola deve porre il miglioramento della serenità interiore.

Il secondo obiettivo deve riguardare la ricerca di una maggiore fiducia di questo bambino negli altri e nel mondo. 

L’obiettivo didattico non può che venire in un secondo momento, quando questo particolare allievo ha superato le sue ansie, le sue paure, le sue notevoli difficoltà psicoaffettive e relazionali.

Una maggiore serenità interiore
Per ottenere una maggiore serenità interiore abbiamo la necessità di creare attorno al bambino affetto da autismo un ambiente particolarmente ovattato, silenzioso, tranquillo, sereno. In quanto per questi bambini molto sensibili può risultare patogeno anche un normale ambiente di classe.

Poiché l’ambiente della classe è, per questi bambini troppo rumoroso e presenta troppi stimoli a causa del numero degli allievi, l’ideale, almeno inizialmente, sarebbe inserire il bambino con tali problematiche in un locale ampio, ben illuminato, ma silenzioso e tranquillo, con un unico operatore adulto particolarmente disponibile e capace di ascolto.  Solo successivamente, quando avremo chiaramente notato che la sua maturazione affettiva e la sua serenità interiore sono molto migliorate, potremo inserire accanto a lui, ma con molta gradualità, prima altri adulti e poi altri bambini con i quali poter stabilire una buona intesa reciproca.

In questo locale ovattato metteremo molti giocattoli con caratteristiche e finalità diverse in modo tale che il bambino utilizzi quei materiali e quei giochi che ritiene, in quel momento, più adatti alle sue esigenze.

Il gioco
Ricordiamo che il gioco rappresenta la strada maestra per la crescita di ogni essere umano, in quanto il gioco è per ogni bambino:

Piacere e godimento di esperienze fisiche e affettive

Strumento di esplorazione e conoscenza: del proprio corpo e del corpo degli altri, degli oggetti inanimati, del mondo che lo circonda e della natura

Esplorazione e conoscenza delle emozioni e dei sentimenti;

Stimolo allo sviluppo motorio e intellettivo. Mediante il gioco il bambino stimola e sviluppa il suo pensiero, la progettualità, l’agilità, la forza, la memoria, la coordinazione occhio-mano, la spazialità;

Veicolo privilegiato di comunicazione e socializzazione. Con il gioco il bambino allarga il contesto delle sue relazioni; apprende a comunicare più efficacemente con gli altri. Comprendendo il punto di vista di chi ha di fronte, diventa consapevole dei suoi sentimenti e dei suoi bisogni. Impara l’importanza delle regole e la loro accettazione;

Mezzo per lo sviluppo della creatività e della fantasia;

Mezzo per contattare e controllare le proprie emozioni. Giocando il bambino riconosce la gioia della vittoria, il sapore bruciante della sconfitta, il calore dell’amicizia, dell’affetto e dell’amore. Impara ad affrontare i piccoli contrasti e le tensioni che si avvertono nel rapporto con se stessi e con il prossimo. Allorché assume la veste di gioco simbolico, drammatico, di ruolo e di finzione assolve, attraverso rituali iterativi e meccanismi di identificazione e di proiezione, ad una preziosa funzione liberatoria e terapeutica, esorcizzando paure e angosce e liquidando impulsi aggressivi, distruttivi e vissuti di ostilità;

Palestra per l’autonomia personale e sociale;

Occasione per rafforzare la volontà. Molti giochi di pazienza, di costruzione, competitivi e di squadra, plasmano il carattere e servono ad instaurare un progressivo controllo sulle proprie emozioni e pulsioni;

Opportunità per recuperare un contatto con la natura. Il rapporto diretto con questa è fondamentale nello sviluppo dei minori, come degli adulti. Per milioni di anni l’essere umano si è sviluppato attraverso il contatto con la terra, con i fiori e i frutti delle piante, con la vivacità e l’amore degli animali, con le acque dei fiumi e dei ruscelli.

Metteremo, allora, nella stanza del bambino affetto da disturbo autistico giocattoli e materiali, così che possa eventualmente effettuare svariati tipi di giochi: sensomotori, di costruzione, imitativi, di abilità, rappresentativi, compensativi, immaginativi, di acquisizione e così via.

Non trascureremo, quindi, oggetti e materiali naturali come il legno, la sabbia, la creta, l’acqua. Materiali questi dei quali questi bambini sono particolarmente attratti. Non mancherà, naturalmente, del materiale didattico specifico adeguato al livello di conoscenze del bambino.

Maggiore fiducia negli altri e nel mondo
Dopo aver creato attorno al bambino un ambiente particolarmente sereno e tranquillo abbiamo il compito di realizzare con lui un rapporto particolare fatto di fiducia, stima e affetto reciproco.

Per fare ciò abbiamo bisogno di rispettare al massimo ogni sua esigenza e bisogno. Nello stesso tempo abbiamo il dovere di tenere in debito conto il suo mondo interiore nel quale, come abbiamo detto, si intrecciano in maniera convulsa irritabilità, sentimenti aggressivi, paure, ansie, inquietudini.
Sentimenti ed emozioni questi che lo confondono e lo spaventano.

Potremo fare ciò solo se lasceremo che sia lui, di volta in volta, a scegliere, inventare e portare avanti il gioco o l’attività preferita.

La terapia del gioco libero autogestito
La migliore modalità di gioco che abbiamo sperimentato con i bambini seguiti dal Centro studi Logos di Messina è quella del gioco libero autogestito.

Giochi guidati. In questo caso i genitori, gli insegnanti o altri adulti, in base agli obiettivi che si propongono, utilizzando strumenti e metodologie particolari guidano il gioco dei bambini così da ottenere determinati risultati.

Giochi liberi. In questo caso i bambini sono totalmente indipendenti dalle indicazioni degli adulti e seguono soltanto delle norme e delle regole che essi stessi si danno giorno per giorno, momento per momento.

Inoltre, i giochi possono essere gestiti alternativamente da entrambi i partecipanti o da uno solo di essi (gioco autogestito). In questi casi è bene che sia solo il bambino a noi affidato a condurre il gioco e, se durante l’attività egli ci coinvolgerà o accetterà il nostro supporto, il nostro compito sarà soltanto quello di aiutarlo a realizzare il suo gioco e non il nostro. In conclusione, sarà lui il leader e noi i gregari.

I motivi di questo inusuale approccio che però, per la nostra esperienza, riesce a conseguire importanti e stabili risultati positivi, sono essenzialmente due:

Innanzitutto, se siamo noi a scegliere, data la estrema sensibilità di questi bambini, è molto facile sbagliare e sbagliando non solo non miglioreremo la sua condizione ma rischieremo di accentuarla. Se, invece, lasceremo la scelta a loro la possibilità di errore si annulla;

Questi bambini, come abbiamo già detto, sono estremamente sensibili alle frustrazioni e spesso reagiscono negativamente a tutto ciò che proviene dal mondo esterno in quanto sono anche molto diffidenti e reattivi nei confronti degli altri esseri umani. Pertanto, ogni nostra iniziativa, anche la più lodevole rischia di bloccarli e disturbarli, mettendoli in ansia o facendo aumentare di molto la loro ansia e le loro paure che già sono a livelli altissimi.

Per evitare di peggiorare il loro mondo interiore e il difficilissimo rapporto che essi hanno nei confronti degli altri esseri umani limitiamoci, quindi, soltanto a collaborare attivamente ai loro giochi, anche se possono sembrarci ripetitivi, inutili, sciocchi, o peggio crudeli e perversi.

Evitiamo di proporre i nostri giochi anche se questi, ai nostri occhi, potrebbero essere giudicati più intelligenti, più utili, più ricchi di valenze educative, più costruttivi, più interessanti e vari.

Il motivo è semplice: se lo stimoliamo eccessivamente o peggio lo costringiamo a partecipare alle attività da noi scelte, rischiamo di confermare ai loro occhi la difficoltà e l’incapacità che hanno gli adulti nel capirli, nell’accettarli e nel rispettare i loro bisogni e le loro difficoltà. 

Per essere ancora più espliciti e chiari, se il gioco del bambino che stiamo seguendo in quel momento consiste nel lanciare in aria i giocattoli, per poi calpestarli quando sono a terra, aiutiamolo a sfogare così la sua rabbia e il suo bisogno aggressivo e distruttivo porgendogli i giocattoli da buttare in aria e calpestare e, perché no, facciamo anche noi il suo stesso gioco ridendo insieme a lui.

Se vediamo che egli colpisce con forza una bambola con le mani o con una racchetta da tennis, non solo dobbiamo riuscire a non scandalizzarci per l’apparente crudeltà, ma dobbiamo poter capire come aiutarlo ad esprimere al meglio la sua aggressività fornendogli se possibile altre bambole da colpire, così che possa finalmente esprimere e sfogare pienamente la sua collera repressa.

Se riesce a liberare la sua aggressività e distruttività colpendo uno scatolo con un tagliacarte, forniamogli molti “nemici scatoli” da infilzare. 

Questi bambini, in definitiva, non sono bambini da educare ma da liberare.

Liberare dalle loro paure, dalle loro angosce, dall’aggressività repressa, dai sensi di colpa, dalla rabbia accumulata in anni di sofferenza.

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