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LA GESTIONE DEL BAMBINO AUTISTICO A SCUOLA...Relazione del dott. Emidio Tribulato

La gestione di un bambino affetto da disturbo della sfera autistica in ambito scolastico, se paragonata alla gestione degli altri handicap, è forse la più complessa e difficile.

Da una parte possiamo avere un bambino che vive in maniera lacerante un’intensa sofferenza interiore fatta di paure, ansie, insicurezze, tensione, irrequietezza, confusione.

Un bambino che spesso nei casi più gravi non parla o peggio grida e ride scompostamente.

Un bambino che non comunica o comunica male e non si integra con gli altri coetanei nei giochi e nelle attività che vengono di volta in volta proposti nella classe e a scuola.

Un bambino che spesso attua dei comportamenti disturbanti, se non chiaramente sconcertanti in quanto si innervosisce per un nonnulla, per ore gioca allo stesso gioco e con gli stessi oggetti, saltella da una parte all’altra della classe, si fa del male o aggredisce gli altri bambini, ride senza costrutto.

Un bambino estremamente sensibile a ogni stimolo eccessivo, che si spaventa facilmente quando nel suo ambiente sono presenti rumori, confusione e grida. Un bambino che ha una enorme sfiducia negli altri. Sfiducia che lo porta ad avere notevoli difficoltà nella comunicazione e nell’interazione sia con gli adulti sia, soprattutto, con i coetanei dai quali, tra l’altro, si sente poco accettato a causa del suo comportamento “strano” ed imprevedibile.

Un bambino emotivamente molto fragile anche di fronte alle minime frustrazioni per cui non accetta di sbagliare, non sopporta di essere rimproverato o ripreso, mentre i cambiamenti facilmente scatenano o accentuano le sue paure ed ansie.

Dall’altra abbiamo un’istituzione, la scuola che ha determinate regole indispensabili per il suo buon funzionamento. Vi è un’istituzione che ha dei bisogni imprescindibili di ordine e disciplina, che si pone dei precisi obbiettivi, che usa strumenti pedagogici tarati soprattutto per una fascia di bambini “normali”.

Una scuola che ha delle richieste esplicite nei suoi confronti:
Amerebbe che egli restasse nella sua classe con gli altri bambini allo scopo di facilitare la socializzazione, ma l’ambiente classe con troppi bambini, con troppi rumori con eccessive sollecitazioni, accentua la sua tensione interiore;

Desidererebbe che lui avesse fiducia negli insegnanti, ma sappiamo che questi bambini hanno scarsa fiducia in ogni essere umano e, soprattutto, hanno timore delle persone non familiari;

Vorrebbe che lui apprendesse, mentre spesso questi bambini hanno gravi difficoltà ad apprendere;

Aspirerebbe a che lui dialogasse e socializzasse con i coetanei, mentre sappiamo che per le sue note difficoltà relazionali gli altri bambini gli creano ansia e tensione;

Vorrebbe che egli potesse accettare le norme e regole della classe e della scuola, ma ogni norma e regola viene vissuta da questi bambini come un’imposizione e una violenza.

Pertanto, se la scuola vuole essere di vero aiuto ai bambini affetti da disturbi della sfera autistica deve necessariamente proporsi obbiettivi diversi da quelli soliti, deve necessariamente attuare delle modalità di gestione alternative a quelle che solitamente attua.

Gli obiettivi
Per quanto riguarda gli obiettivi al primo posto la scuola deve porre il miglioramento della serenità interiore.

Il secondo obiettivo deve riguardare la ricerca di una maggiore fiducia di questo bambino negli altri e nel mondo. 

L’obiettivo didattico non può che venire in un secondo momento, quando questo particolare allievo ha superato le sue ansie, le sue paure, le sue notevoli difficoltà psicoaffettive e relazionali.

Una maggiore serenità interiore
Per ottenere una maggiore serenità interiore abbiamo la necessità di creare attorno al bambino affetto da autismo un ambiente particolarmente ovattato, silenzioso, tranquillo, sereno. In quanto per questi bambini molto sensibili può risultare patogeno anche un normale ambiente di classe.

Poiché l’ambiente della classe è, per questi bambini troppo rumoroso e presenta troppi stimoli a causa del numero degli allievi, l’ideale, almeno inizialmente, sarebbe inserire il bambino con tali problematiche in un locale ampio, ben illuminato, ma silenzioso e tranquillo, con un unico operatore adulto particolarmente disponibile e capace di ascolto.  Solo successivamente, quando avremo chiaramente notato che la sua maturazione affettiva e la sua serenità interiore sono molto migliorate, potremo inserire accanto a lui, ma con molta gradualità, prima altri adulti e poi altri bambini con i quali poter stabilire una buona intesa reciproca.

In questo locale ovattato metteremo molti giocattoli con caratteristiche e finalità diverse in modo tale che il bambino utilizzi quei materiali e quei giochi che ritiene, in quel momento, più adatti alle sue esigenze.

Il gioco
Ricordiamo che il gioco rappresenta la strada maestra per la crescita di ogni essere umano, in quanto il gioco è per ogni bambino:

Piacere e godimento di esperienze fisiche e affettive

Strumento di esplorazione e conoscenza: del proprio corpo e del corpo degli altri, degli oggetti inanimati, del mondo che lo circonda e della natura

Esplorazione e conoscenza delle emozioni e dei sentimenti;

Stimolo allo sviluppo motorio e intellettivo. Mediante il gioco il bambino stimola e sviluppa il suo pensiero, la progettualità, l’agilità, la forza, la memoria, la coordinazione occhio-mano, la spazialità;

Veicolo privilegiato di comunicazione e socializzazione. Con il gioco il bambino allarga il contesto delle sue relazioni; apprende a comunicare più efficacemente con gli altri. Comprendendo il punto di vista di chi ha di fronte, diventa consapevole dei suoi sentimenti e dei suoi bisogni. Impara l’importanza delle regole e la loro accettazione;

Mezzo per lo sviluppo della creatività e della fantasia;

Mezzo per contattare e controllare le proprie emozioni. Giocando il bambino riconosce la gioia della vittoria, il sapore bruciante della sconfitta, il calore dell’amicizia, dell’affetto e dell’amore. Impara ad affrontare i piccoli contrasti e le tensioni che si avvertono nel rapporto con se stessi e con il prossimo. Allorché assume la veste di gioco simbolico, drammatico, di ruolo e di finzione assolve, attraverso rituali iterativi e meccanismi di identificazione e di proiezione, ad una preziosa funzione liberatoria e terapeutica, esorcizzando paure e angosce e liquidando impulsi aggressivi, distruttivi e vissuti di ostilità;

Palestra per l’autonomia personale e sociale;

Occasione per rafforzare la volontà. Molti giochi di pazienza, di costruzione, competitivi e di squadra, plasmano il carattere e servono ad instaurare un progressivo controllo sulle proprie emozioni e pulsioni;

Opportunità per recuperare un contatto con la natura. Il rapporto diretto con questa è fondamentale nello sviluppo dei minori, come degli adulti. Per milioni di anni l’essere umano si è sviluppato attraverso il contatto con la terra, con i fiori e i frutti delle piante, con la vivacità e l’amore degli animali, con le acque dei fiumi e dei ruscelli.

Metteremo, allora, nella stanza del bambino affetto da disturbo autistico giocattoli e materiali, così che possa eventualmente effettuare svariati tipi di giochi: sensomotori, di costruzione, imitativi, di abilità, rappresentativi, compensativi, immaginativi, di acquisizione e così via.

Non trascureremo, quindi, oggetti e materiali naturali come il legno, la sabbia, la creta, l’acqua. Materiali questi dei quali questi bambini sono particolarmente attratti. Non mancherà, naturalmente, del materiale didattico specifico adeguato al livello di conoscenze del bambino.

Maggiore fiducia negli altri e nel mondo
Dopo aver creato attorno al bambino un ambiente particolarmente sereno e tranquillo abbiamo il compito di realizzare con lui un rapporto particolare fatto di fiducia, stima e affetto reciproco.

Per fare ciò abbiamo bisogno di rispettare al massimo ogni sua esigenza e bisogno. Nello stesso tempo abbiamo il dovere di tenere in debito conto il suo mondo interiore nel quale, come abbiamo detto, si intrecciano in maniera convulsa irritabilità, sentimenti aggressivi, paure, ansie, inquietudini.
Sentimenti ed emozioni questi che lo confondono e lo spaventano.

Potremo fare ciò solo se lasceremo che sia lui, di volta in volta, a scegliere, inventare e portare avanti il gioco o l’attività preferita.

La terapia del gioco libero autogestito
La migliore modalità di gioco che abbiamo sperimentato con i bambini seguiti dal Centro studi Logos di Messina è quella del gioco libero autogestito.

Giochi guidati. In questo caso i genitori, gli insegnanti o altri adulti, in base agli obiettivi che si propongono, utilizzando strumenti e metodologie particolari guidano il gioco dei bambini così da ottenere determinati risultati.

Giochi liberi. In questo caso i bambini sono totalmente indipendenti dalle indicazioni degli adulti e seguono soltanto delle norme e delle regole che essi stessi si danno giorno per giorno, momento per momento.

Inoltre, i giochi possono essere gestiti alternativamente da entrambi i partecipanti o da uno solo di essi (gioco autogestito). In questi casi è bene che sia solo il bambino a noi affidato a condurre il gioco e, se durante l’attività egli ci coinvolgerà o accetterà il nostro supporto, il nostro compito sarà soltanto quello di aiutarlo a realizzare il suo gioco e non il nostro. In conclusione, sarà lui il leader e noi i gregari.

I motivi di questo inusuale approccio che però, per la nostra esperienza, riesce a conseguire importanti e stabili risultati positivi, sono essenzialmente due:

Innanzitutto, se siamo noi a scegliere, data la estrema sensibilità di questi bambini, è molto facile sbagliare e sbagliando non solo non miglioreremo la sua condizione ma rischieremo di accentuarla. Se, invece, lasceremo la scelta a loro la possibilità di errore si annulla;

Questi bambini, come abbiamo già detto, sono estremamente sensibili alle frustrazioni e spesso reagiscono negativamente a tutto ciò che proviene dal mondo esterno in quanto sono anche molto diffidenti e reattivi nei confronti degli altri esseri umani. Pertanto, ogni nostra iniziativa, anche la più lodevole rischia di bloccarli e disturbarli, mettendoli in ansia o facendo aumentare di molto la loro ansia e le loro paure che già sono a livelli altissimi.

Per evitare di peggiorare il loro mondo interiore e il difficilissimo rapporto che essi hanno nei confronti degli altri esseri umani limitiamoci, quindi, soltanto a collaborare attivamente ai loro giochi, anche se possono sembrarci ripetitivi, inutili, sciocchi, o peggio crudeli e perversi.

Evitiamo di proporre i nostri giochi anche se questi, ai nostri occhi, potrebbero essere giudicati più intelligenti, più utili, più ricchi di valenze educative, più costruttivi, più interessanti e vari.

Il motivo è semplice: se lo stimoliamo eccessivamente o peggio lo costringiamo a partecipare alle attività da noi scelte, rischiamo di confermare ai loro occhi la difficoltà e l’incapacità che hanno gli adulti nel capirli, nell’accettarli e nel rispettare i loro bisogni e le loro difficoltà. 

Per essere ancora più espliciti e chiari, se il gioco del bambino che stiamo seguendo in quel momento consiste nel lanciare in aria i giocattoli, per poi calpestarli quando sono a terra, aiutiamolo a sfogare così la sua rabbia e il suo bisogno aggressivo e distruttivo porgendogli i giocattoli da buttare in aria e calpestare e, perché no, facciamo anche noi il suo stesso gioco ridendo insieme a lui.

Se vediamo che egli colpisce con forza una bambola con le mani o con una racchetta da tennis, non solo dobbiamo riuscire a non scandalizzarci per l’apparente crudeltà, ma dobbiamo poter capire come aiutarlo ad esprimere al meglio la sua aggressività fornendogli se possibile altre bambole da colpire, così che possa finalmente esprimere e sfogare pienamente la sua collera repressa.

Se riesce a liberare la sua aggressività e distruttività colpendo uno scatolo con un tagliacarte, forniamogli molti “nemici scatoli” da infilzare. 

Questi bambini, in definitiva, non sono bambini da educare ma da liberare.

Liberare dalle loro paure, dalle loro angosce, dall’aggressività repressa, dai sensi di colpa, dalla rabbia accumulata in anni di sofferenza.

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