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LA SCOPERTA DELL’ACQUA CALDA: IL TURISMO DELLE RADICI – DI DINO NARDI

Evviva! Con questa espressione ho commentato nella mia rubrica, ospitata dal settimanale L’ECO, la scoperta dell’acqua calda fatta dalla Farnesina con la recente presentazione di una iniziativa definita di “taglio innovativo” per promuovere il così detto “turismo di ritorno” degli italo-discendenti, cioè attraverso il “turismo delle radici” il MAECI e quindi il governo italiano si propongono, tra l’altro, la “preservazione del patrimonio immobiliare”.


Il dottor Luigi Maria Vignali, direttore generale della Direzione Generale degli Italiani all’Estero (DGIE) promotrice dell’evento, da parte sua ha sottolineato come “Il turismo delle radici rappresenta una straordinaria opportunità per aprire l’Italia a nuovi flussi di visitatori e per valorizzare luoghi e borghi italiani non ancora coinvolti dal turismo di massa (..) e come i connazionali e italo-discendenti sono del resto i primi consumatori dei prodotti locali, realizzati da artigiani e i cui ricavi vengono interamente riassorbiti dallo sviluppo dell'economia locale”.

Si, dopo aver appreso di questa iniziativa della DGIE, è proprio il caso di esprimere la nostra gioia con un “evviva!” ed anche con un “finalmente!”. Infatti, come posso testimoniare da ex membro di lungo corso del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE), l’importanza economica per l’Italia che rivestono gli italiani iscritti all’AIRE (oltre cinque milioni) e gli italo-discendenti (stimati in circa 60/80 milioni) è sempre stata evidenziata sia dal sottoscritto e da altri colleghi ogni qualvolta (ed accadeva spesso) che si trattava di difendere i diritti dei nostri emigrati e di evitare interventi dello Stato discriminatori nei loro confronti affinché non si sentissero abbandonati dal loro Paese e non si disamorassero dell’Italia.

Purtroppo raramente questi nostri appelli hanno avuto delle risposte positive dai parlamenti e dai governi che si sono succeduti negli anni così che, già da tempo, è iniziato un certo distanziamento sociale (per usare un termine oggi di moda) da parte degli iscritti AIRE verso l’Italia.

Oggi apprendiamo con soddisfazione di questa iniziativa del MAECI per aiutare l’economia del Paese anche con la preservazione del patrimonio immobiliare, soprattutto dei piccoli borghi. Ebbene vorremmo ricordare sommessamente che molti di questi borghi e villaggi per lo più abbandonati - sparsi per le vallate alpine, a ridosso della dorsale appenninica oppure disseminati nelle campagne salentine, siciliane o della Sardegna - già da decenni si ravvivano proprio grazie a quel turismo di ritorno dei molti emigrati originari di quei luoghi. Emigrati che vi hanno investito i loro primi risparmi per rinnovare la casa dei genitori oppure per acquistarne una in previsione di un rientro definitivo che, molto spesso, non si è poi verificato ma che, tuttavia, proprio grazie a quella loro casa vi sono ritornati a trascorrere le loro vacanze, anno dopo anno, con le loro famiglie e quindi a spendervi molte risorse tra alimenti, bar, ristoranti, luoghi di divertimento, nonché l’acquisto di vari altri beni di consumo che vanno a riempire anche le loro valige al rientro nei rispettivi Paesi di emigrazione e soprattutto il bagagliaio delle loro auto quando trattasi di emigrati residenti in Europa.

Purtroppo tutto questo flusso di denaro che gli emigrati stanno spendendo in Italia da decenni rischia di interrompersi nonostante i desiderata del MAECI. Infatti, come abbiamo già avuto modo di scrivere all’inizio dell’anno in questa rubrica, sono sempre di più gli italiani all’estero proprietari di una abitazione in Italia che manifestano la loro rabbia nei confronti dell’Italia per come lo Stato italiano - e gli stessi comuni di origine - li maltratta a riguardo dell’IMU e della TARI (e non solo). Una rabbia che iniziò a manifestarsi nel 2009 quando il governo Berlusconi tolse l’IMU sulla prima casa dimenticandosi però di quella degli emigrati; una rabbia poi rafforzatasi nei lavoratori emigrati che si sentirono doppiamente discriminati quando dal 2015 si concessero alcuni benefici fiscali sulla casa ai soli pensionati iscritti all’AIRE; una rabbia che da inizio anno è addirittura esplosa fragorosamente tra tutti gli emigrati poiché, a seguito della Legge di Bilancio 2020, tutti loro devono versare l’IMU come seconda casa compreso i pensionati.

Per cui altro che “turismo delle radici”! Infatti moltissimi emigrati hanno già iniziato a disfarsi della loro proprietà in Italia. Un’abitazione il cui costo di mantenimento è diventato ormai insopportabile finanziariamente per le tasche di molti di loro che devono vivere con il solo reddito della pensione: circa 5mila euro annuo, tra IMU, TARI, canone tv, energia elettrica, gas, acqua, nonché la maggiore imposizione fiscale che quella proprietà genera nel Paese di residenza e senza calcolare gli imprevisti che non mancano mai per una abitazione chiusa per la maggior parte dell’anno. Un costo che, peraltro, è sproporzionato rispetto al suo utilizzo che si limita al massimo ad un paio di mesi all’anno, ovvero un importo superiore a quella che una coppia spenderebbe in un albergo di tre stelle.

Morale, se il MAECI ed il governo pensano davvero ad investire nell’opportunità offerta al Paese dal “turismo delle radici”, è bene che si attivino subito affinché anche l’abitazione di tutti gli iscritti all’AIRE venga trattata fiscalmente come le abitazioni dei residenti stabili. Altrimenti, come recitava una celebre canzone, “tutto il resto è noia” compreso questa pur lodevole iniziativa di far crescere il turismo delle radici!

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