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RIDUZIONE PARLAMENTARI/ SCHIAVONE (CGIE): CHIEDIAMO UN CONFRONTO CON LE COMMISSIONI AFFARI COSTITUZIONALI

Da bambino delle volte mi è successo di pensare di vivere in un paese di favole, nel quale ogni giorno e in ogni stagione chiunque poteva esprimere un desiderio e solo nei sogni, delle volte, questi si realizzavano nelle forme desiderate. La realtà, invece è diversa e ci pone difronte a situazioni complesse e generalmente difficili da perseguire, in particolare quando si ha a che fare con scelte politiche.


Meno di due anni fa l’Italia ha deciso di rigettare un referendum, che tra le tante cose prevedeva la riduzione del numero dei parlamentari e la revisione delle prerogative del Senato della Repubblica. A quel referendum, rigettato con una ampia maggioranza, parteciparono anche gli italiani all’estero. Il messaggio uscito dalle urne conteneva anche l’indicazione chiara e ineludibile: la rappresentanza parlamentare non può essere definita solo dai costi della politica.

Bene, quella decisione è servita a poco, perché a distanza di poco più di un anno ritorna il tormentone sulla riduzione dei parlamentari e, di conseguenza, del numero dei rappresentanti degli italiani all’estero. Ovviamente le ragioni addotte sono le solite, il mantra lievitato nella narrazione semplicistica: la riduzione dei costi della politica. Per la rappresentanza degli italiani all’estero nel Parlamento queste diventano pretesto per riproporre uno schema, che ha poco a che fare con il dettame costituzionale, tanto meno con i numeri che quantificano la rappresentanza.

Il refrain sulla riduzione dei 18 parlamentari della circoscrizione estero, 12 nella Camera dei deputati e 6 nel Senato della Repubblica, che il nuovo disegno di legge del governo vorrebbe ridurre complessivamente a 10, trova la forte contrarietà dell’intero mondo degli italiani all’estero. Il numero di 18 rappresentanti introdotto nella costituzione italiana, dopo decenni dalla sua promulgazione, non è il frutto di compromessi politici, tanto meno di regalie, ma esso rappresenta il riconoscimento di una parte della Comunità nazionale residente altrove, e che oggi è quantificata per difetto in cinque milioni e seicentomila cittadini. Questi numeri corrispondono alla seconda regione italiana più popolosa per numero di cittadini, che dal punto di vista materiale ed economico ha un impatto corrispondente al 10 per cento del prodotto interno dell’Italia.

In queste ore giunge notizia di un avanzamento della trattazione del provvedimento governativo nelle commissioni costituzionali di Camera e Senato: sarebbe opportuno conoscere nei dettagli le ragioni e i contenuti di tale proposta. Considerato che la prossima settimana si riunirà il Consiglio generale degli italiani all’estero chiediamo di conoscere direttamente dai presidenti delle due commissioni: Giuseppe Brescia e Stefano Borghesi gli argomenti che sono alla base di tale proposta e confrontarci liberamente per dare forma e contenuto ai valori, che sono alla base di una repubblica democratica qual è quella italiana. Se le parole hanno un senso ed un peso anche gli italiani all’estero fanno parte a pieno titolo del popolo, al quale si richiama con enfasi l’attuale governo. La loro rappresentanza non può esssere ridotta a mero assioma concettuale o aritmetico, ma è la leva da brandire per valorizzarli e per farne strumento di sviluppo. progresso e civiltà.

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