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LA NOSTRA STORIA È LA LORO STORIA – DI ANNA-MARIA CIMINI

Assistiamo increduli e impotenti alle notizie di casi di stampo razzista che ci arrivano dall’Italia e da altri Paesi. Apartheid in una scuola italiana: bambini stranieri esclusi dalle agevolazioni per le mense scolastiche, costretti a mangiare panini in una stanza separata. È successo a Lodi, in Lombardia. Donna sul Frecciarossa Milano-Trieste: “vicino a una negra non mi siedo”, vittima dell’episodio una studentessa 23enne di origine indiana. La città di Chemnitz sconvolta da una manifestazione neonazista sfociata in una caccia al migrante.


Tutto questo accade proprio nell’anno in cui ricordiamo i cinquant’anni dell’assassinio dell’attivista afroamericano più celebre al mondo, il pastore battista Martin Luther King. Quello che con il suo sogno dell’uguaglianza riuscì a contagiare una generazione di idee e speranze e a segnare la storia di una grande nazione. L’uomo che cambiò l’America. Cosa direbbe Martin Luther King, confrontato con questi episodi di palese razzismo, 50 anni dopo?

Nel XVII secolo gli schiavi neri erano stati comprati prima nell’Africa occidentale e poi nella parte orientale del continente. Venivano prelevati in cambio di polvere da sparo, di armi e di beni manifatturieri, che le navi negriere imbarcavano in Gran Bretagna, Francia e Portogallo. Una volta giunti in America, gli schiavi venivano nuovamente scambiati per ottenere materie prime, come lo zucchero o il tabacco, rivendute poi in Europa con profitti maggiorati. Così, secondo gli storici, sono state deportate circa 14 milioni di persone.

Gli italiani arrivati in Svizzera dopo la Seconda guerra mondiale – per ricordare solo l’ultima grande ondata migratoria – alla frontiera elvetica dovevano spogliarsi e farsi la doccia per poi essere cosparsi di DDT e sottoporsi a una visita medica. Trattati come bestiame, e chi si rifiutava, veniva rispedito in Italia. Alla porta d’ingresso di alcuni ristoranti svizzeri era affisso un cartellone con la scritta: “Vietato ai cani e agli italiani”. A tante bambine e a tanti bambini fu rubata l’infanzia, costretti a nascondersi e a rimanere soli e muti, mentre i loro genitori andavano a lavorare.

Non c'era ancora il ricongiungimento familiare. Ci chiamavano “Cinq” o “Ritals”. Non dimentichiamolo!

Il 3 ottobre scorso, in occasione della Giornata della Memoria e dell’Accoglienza, l’Italia ha ricordato le 368 vittime del naufragio del 2013 al largo delle coste di Lampedusa. Nel frattempo, dal 2014 a oggi, nel Mediterraneo sono morti quasi 17 mila migranti e rifugiati. Gente come noi, in cerca di una vita migliore. La nostra storia di emigrati e figli di emigrati ci impone di riflettere su tutto ciò che sta accadendo attorno a noi. Alle morti nel Mediterraneo, alle discriminazioni quotidiane, alla propaganda xenofoba propinataci dai governanti italiani.

Il prossimo 21 novembre, la Federazione delle Colonie Libere Italiane si accinge a celebrare il suo 75° anniversario di fondazione, assieme alle dieci Colonie Libere che l’hanno fondata nel 1943 a Olten.

Svariate saranno le attività delle Colonie Libere e della Federazione dedicate alla ricorrenza che si concluderà a fine novembre 2019. Invito tutte e tutti a cogliere questa occasione per denunciare ogni atto di discriminazione, ogni atto di stampo razzista, seguendo la politica della non violenza, ma con azioni incisive. Se davvero vogliamo onorare la storia del nostro movimento, se vogliamo dare un significato e un valore al lavoro svolto da coloro che ci hanno preceduto, il 75° lo dobbiamo vivere con un altro spirito. L’anniversario è sicuramente un momento per festeggiare, ma deve essere anche un momento in cui rilanciare l’azione politica contro tutti i fascismi, per dimostrare di essere degni della nostra storia, e non importa se ci hanno chiamati, deportati oppure se siamo fuggiti alla guerra o semplicemente in cerca di una vita più dignitosa.

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