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VOSTRA NONNA ERA SVIZZERA? VI RESTANO SEI MESI PER RECUPERARE LA CITTADINANZA – DI STEFANIA SUMMERMATTER

Negli ultimi dieci anni, sono circa 19mila le persone residenti all’estero che hanno ottenuto il passaporto rossocrociato. Nella maggior parte dei casi si tratta di coniugi di cittadini svizzeri, che dopo almeno sei anni di matrimonio hanno depositato una domanda di naturalizzazione agevolata. La legge prevede però anche la possibilità di “recuperare” la cittadinanza, ad esempio per chi è stato obbligato a rinunciarvi quando avere il doppio passaporto non era ancora possibile”. A scriverne è Stefania Summermatter che sul quotidiano online multilingue “Swissinfo.ch” illustra le novità sulla cittadinanza in vigore dal prossimo anno.


“Nel 2016 a beneficiare della naturalizzazione sono stati 1'847 cittadini residenti all’estero, su un totale di circa 43mila nuovi svizzeri. Con la revisione della legge sulla cittadinanza, che entrerà in vigore il 1° gennaio 2018, ottenere il passaporto rossocrociato sarà però un po’ più difficile. Chi ha una nonna o una bisnonna svizzera ha dunque tempo solo sei mesi per recuperare la nazionalità e questo a determinate condizioni. Ecco alcuni dei principali cambiamenti per chi vive all’estero.

Mamma svizzera sì, ma una nonna non più
Secondo la legge svizzera, che si basa sullo “ius sanguinus”, chi nasce da un genitore svizzero acquisisce automaticamente la cittadinanza, anche all’estero. Fino al 1° luglio 1985, tuttavia, le madri non potevano trasmettere la nazionalità elvetica ai figli, i quali ricevevano automaticamente quella del padre.

La legge è stata poi modificata per permettere a chi è nato prima del 1985 – da madre svizzera – di recuperare il passaporto rossocrociato. Anche i nipoti e i bisnipoti possono avvalersi di questo diritto, ma solo fino al 31 dicembre 2017. La nuova legge limita infatti il recupero della cittadinanza alla prima generazione.

Prendiamo ad esempio il caso di Roberta, nata in Svizzera e sposatasi con un italiano nel 1935. Da questa unione è nata Sabina, che non ha mai avuto la cittadinanza elvetica. Dal 1° gennaio 2018 solo Sabina potrà beneficiare della naturalizzazione agevolata, mentre per suo figlio Marco, nato nel 1960, non sarà più possibile.

Dieci anni di tempo per essere reintegrati
Per quanto riguarda i giovani nati all’estero, se vogliono mantenere la cittadinanza svizzera devono annunciarsi alle autorità entro il 22esimo compleanno. La nuova legge alza questo limite a 25 anni. Un piccolo progresso, dunque, per la Quinta svizzera.

Dopo i 25 anni, però, la nuova legge introduce criteri più severi. I candidati potranno ancora depositare una domanda di “reintegrazione” entro dieci anni, ma oltrepassato questo limite dovranno tornare a vivere in Svizzera se vogliono riavere il passaporto rossocrociato.

Da notare che questa nuova disposizione tocca tutti i candidati alla reintegrazione, ossia tutti coloro che hanno perso il passaporto svizzero per perenzione, matrimonio o svincolo dalla cittadinanza. Chi deposita una domanda entro il 31 dicembre 2017, invece, deve dimostrare unicamente di avere dei legami stretti con la Svizzera, anche una volta superato il limite di dieci anni dalla perdita della cittadinanza.

Vincoli stretti con la Svizzera
Un altro cambiamento importante introdotto con la nuova legge è la necessità, per chi vive all’estero, di dimostrare di avere un legame stretto con la Svizzera o in altre parole di essere “integrato”. Un’esigenza non nuova, ma che il parlamento ha voluto precisare introducendo criteri più severi.

I candidati dovranno essere in grado di esprimersi oralmente in una lingua nazionale, avere conoscenze di base sul paese e contatti regolari con cittadini svizzeri. Dovranno inoltre aver soggiornato in Svizzera almeno tre volte, per cinque giorni, nei sei anni precedenti la domanda, contro gli attuali dieci.

Un’esigenza, quest’ultima, che crea una certa disparità tra i candidati, dato che fare un viaggio in Svizzera è senza dubbio più facile per una persona che vive in Italia o in Francia, rispetto a chi risiede in Cile o in Argentina. La legge prevede dunque di prendere in considerazione queste disparità nella valutazione di una domanda di naturalizzazione”.